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venerdì 27 gennaio 2023

(10199) CHARIKLO un centauro con gli anelli. by Andreotti Roberto - INSA.

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Aggiornato il 27/01/2023

(10199) CHARIKLO

Scoperta e nome:
Si tratta di un asteroide centauro, ed ha preso il nome da una ninfa della mitologia Greca.
Scoperto nel 1997 da James V. Scotti dello Spacewatch.

(foto HUBBLE).

Parametri orbitali:
Presenta un'orbita caratterizzata da un semiasse maggiore pari a 15,8536488 UA e da un'eccentricità di 0,1748245, inclinata di 23,37641° rispetto all'eclittica.
L'orbita di Chariklo è più stabile di quelle di Nesso , Chirone e Pholus . Chariklo si trova entro 0,09  UA dalla risonanza 4:3 con Urano e si stima che abbia un'emivita orbitale relativamente lunga di circa 10,3 Miliardi di anni . Le simulazioni orbitali, suggeriscono che Chariklo non inizierà a rientrare regolarmente entro 3 UA (450 Gm) da Urano per circa trentamila anni.

Parametri orbitali
INSA
Semiasse maggiore15,8536488 UA
Inclinazione
sull'eclittica
23,37641°
Eccentricità0,1748245
Longitudine del
nodo ascendente
300,49397°
Argomento del perielio242,65224°
Anomalia media18,20159°
Par. Tisserand (TJ)3,479 (calcolato)


Dati fisici:
Ha dimensioni di 296 × 264 × 204 km ed un periodo di rotazione di 7,004h.
Una delle eccezionalità di questo asteroide è di avere un sistema di anelli, possiede 2 anelli rispettivamente a 391km dal centro e con uno spessore di 7km, ed un secondo a 405km con uno spessore di 3km.
Caratteristiche fisiche                         
Dimensioni296 x 264 x 204 km
7,004 ± 0,036 
0,045 ± 0,010
0,035 ± 0,010 
0,042 ± 0,005 
0,057 (assunto) 
SMASS =  · 
BR (G-mode) 
B − V = 0.84 
V − R =0,50 ± 0,03 
B − R = 1,34 
V − I =1,02 ± 0,02 
R − J = 0,99 
V − J =1,49 ± 0,07 
J − H = 0,49 
V − H =1,98 ± 0,08 
+18,3 
6,569 ± 0,015 (R)   · 6,6  · 6,65   ·
6,75 
 · 6,76 · 7,07 ± 0,04 
7,08 ± 0,04  · 7,03 ± 0,10  · 7,40 ± 0,25

Curva di luce:

Spettro:

Intanto, la straordinaria qualità dello spettrometro del telescopio spaziale James Webb nel 2022 (grafico sotto), tramite l’analisi della luce solare riflessa da Chariklo, ha rivelato la chiara firma del ghiaccio già ipotizzata con i dati dei telescopi terrestri (grafico sopra).


Occultazioni stellari:
La Prima occultazione è riportata in un articolo, pubblicato il 26 marzo 2014, in cui si annuncia la scoperta, da parte di un team coordinato da Felipe Braga-Ribas, di un sistema di anelli di detriti, molto simile a quelli di Saturno e degli altri pianeti giganti, in orbita attorno a Chariklo.
La scoperta è avvenuta osservando l'occultazione della stella UCAC4 248-108672 avvenuta il 3 giugno 2013 con sette diversi telescopi. Questo rende Chariklo il più piccolo oggetto conosciuto del sistema solare a possedere un sistema di anelli.
Attraverso l'analisi della variazione dello spettro complessivo di Chariklo, si ritiene che tale sistema di anelli sia composto almeno parzialmente da acqua ghiacciata.
Pare inoltre che il sistema di anelli sia confinato da una luna dell'asteroide che però, al momento, non è ancora stata osservata.
Nello schema sono riportati i risultati dell'occultazione stellare che ha permesso la scoperta degli anelli e le dimensioni di Chariklo ).

Sopra - i risultati delle varie postazioni osservative ).

Nel dettaglio l'occultazione dei 2 anelli scoperti intorno a Chariklo ).

La conferma arriva il 18 ottobre 2022, quando il telescopio spaziale Webb ha osservato l'occultazione della stella Gaia DR3, che passando a poca distanza da Chariklo, è stata occultata dai suoi 2 anelli.


RICOSTRUZIONE ARTISTICA DI CHARIKLO CON I SUOI ANELLI:

Chariklo è circondato da due anelli densi e sottili di polveri e altre piccole particelle. È l’oggetto finora più piccolo intorno a cui siano stati trovati degli anelli. L’origine degli anelli rimane misteriosa, ma potrebbero essere il risultato di una collisione che ha creato un disco di detriti. I capi del progetto stanno chiamando provvisoriamente gli anelli con i nomi di Oiapoque e Chuí, due fiumi alle estremità Nord e Sud del Brasile. I nuovi risultati sono stati pubblicati on-line dalla rivista Nature il 26 marzo 2014.
“Non stavamo cercando anelli e non pensavamo che piccoli corpi come Chariklo ne avessero, perciò la scoperta – e l’incredibile quantità di dettagli che abbiamo osservato nel sistema – sono stati una vera sorpresa!“, ha commentato Felipe Braga-Ribas (Observatório Nacional/MCTI, Rio de Janeiro, Brasile) che ha progettato la campagna osservativa ed è l’autore principale dell’articolo.
Chariklo è il più grande membro di una classe nota come i Centauri e la sua orbita è nella zona esterna del Sistema Solare, tra Saturno e Urano.
Era previsto che passasse di fronte alla stella UCAC4 248-108672 il 3 giugno 2013, visibile dall’America meridionale. L’evento è stato previsto a seguito di una ricerca sistematica condotta con il telescopio dell’MPG/ESO da 2,2 metri all’Osservatorio di la Silla dell’ESO . Alcuni astronomi, usando sette telescopi tra cui il telescopio danese da 1,54 metri e il telescopio TRAPPIST, sono stati in grado di osservare la stella svanire apparentemente per pochi secondi quando la sua luce veniva bloccata da Chariklo – fenomeno noto come occultazione. Gli studiosi affermano che questo è l’unico modo per definire con precisione la forma e la dimensione di un corpo distante: Chariklo si trova a più di un miliardo di chilometri dalla Terra. Anche con i telescopi più potenti questo oggetto così piccolo e distante appare come un debole punto di luce.
Ma hanno trovato molto di più di quello che si aspettavano: pochi secondi prima, e di nuovo pochi secondi dopo l’occultazione principale, si sono registrati due brevi cali di intensità nella luminosità apparente della stella. Qualcosa intorno a Chariklo stava bloccando la luce! Confrontando ciò che si vedeva da siti diversi, l’equipe ha potuto ricostruire non solo la forma e la dimensione dell’oggetto stesso, ma anche la forma, larghezza, orientamento e altre proprietà degli anelli appena scoperti. Gli anelli di Urano e gli archi intorno a Nettuno sono stati trovati in modo simile durante le occultazioni del 1977 e del 1984, rispettivamente.
L’equipe di ricercatori ha scoperto che il sistema è formato da due anelli ben confinati, larghi solo sette e tre chilometri rispettivamente, separati da un ben preciso intervallo di nove chilometri – intorno a un oggetto di soli 250 chilometri di diametro in orbita al di là di Saturno. “Per me è stato veramente sorprendente rendermi conto che siamo stati in grado non solo di rivelare un sistema di anelli, ma anche di definire che è formato da due anelli ben distinti”, ha aggiunto Uffe Gråe Jørgensen (Niels Bohr Institute, University of Copenhagen, Danimarca), un membro dell’equipe. “Cerco di immaginarmi cosa significhi stare sulla superficie di questo oggetto ghiacciato – abbastanza piccolo perché una macchina da corsa possa raggiungere la velocità di fuga e scappare nello spazio – e intanto ammirare un sistema di anelli di 20 chilometri di larghezza 1000 volte più vicino della Luna”. Anche se molte domande rimangono senza risposta, gli astronomi pensano che probabilmente questo tipo di anelli si formi a partire dai detriti rimasti dopo una collisione. Il confinamento nei due anelli sottili tradisce la probabile presenza di piccoli satelliti. “E così, oltre agli anelli, è probabile che Chariklo abbia almeno una piccola luna che attende di essere scoperta”.
Anelli di Chariklo :
Denominazione
provvisoria
Distanza dal
centro di Chariklo
(km)
Estensione
(km)
2013C1R - ''Oiapoque''3917
2013C2R - ''Chui''4053
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A cura di Andreotti Roberto.


mercoledì 25 gennaio 2023

I VULCANI DI IO. by INSA.

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Aggiornato il 25/01/2023

I VULCANI DI IO

Quando la sonda spaziale della Nasa, il Voyager 1 avvicinò Io, il più interno dei satelliti Medicei di Giove, nel marzo 1979, le immagini inviate alla Terra rivelarono che la sua superficie appariva punteggiata da una moltitudine di centri vulcanici caldi, con imponenti colate laviche e pennacchi alti fino a qualche centinaio chilometri. In seguito, l’esplorazione condotta soprattutto dalla missione Nasa Galileo chiarì che questi punti caldi sono moltissimi: alcune centinaia, molti dei quali con attività pressoché costante.


Struttura e Vulcani:
Molti vulcani producono pennacchi di zolfo e biossido di zolfo che si elevano fino a 500 km sulla sua superficie.
Questa è costellata di oltre 100 montagne che sono state sollevate dalla compressione della crosta di silicati, con alcuni di questi picchi che arrivano ad essere più alti dell'Everest.
A differenza di molti satelliti del sistema solare esterno, che sono per lo più composti di ghiaccio d'acqua, Io assomiglia ai pianeti terrestri ed è composto principalmente da rocce di silicati che circondano un nucleo di ferro o di solfuro di ferro fusi.
La maggior parte della superficie di Io è composta da ampie piane ricoperte di zolfo e anidride solforosa congelata.


Loki Patera:
Io è la cosa più vicina che abbiamo all'inferno nel nostro sistema solare, che dispone di centinaia di vulcani attivi e grandi laghi pieni di lava.
Nuove osservazioni suggeriscono che il più grande di questi laghi, Loki Patera, produce enormi onde che scorrono ripetutamente intorno alla superficie fusa.


Grazie ad un raro allineamento orbitale tra Europa e Io, un team internazionale di ricercatori ha identificato e tracciato un paio di onde laviche mentre costeggiavano Loki Patera, che è più grande del lago Ontario, e con una superficie di 21.500 km quadrati. La spiegazione più probabile per questa azione apparentemente periodica dell'onda è un modello di circolazione rovesciata, in cui la crosta di superficie fresca si addensa lentamente e affonda, tirando la crosta vicina insieme ad essa in un'onda che si diffonde sulla superficie.
Dalla fine degli anni '70, gli scienziati cominciarono a sospettare che Io, la terza luna più grande di Giove, presentasse una superficie tumultuosa e dinamica. Quando le sonde spaziali Voyager 1 e 2 visitarono il sistema gioviano, questi sospetti furono confermati, rivelando Io come l'oggetto più vulcanicamente attivo del sistema solare. Questa luna torturata è coinvolta in un tiro alla fune gravitazionale tra Giove e altri satelliti, che causano un intenso riscaldamento mareale all'interno del satellite.
Una delle cose particolari osservate è l'aumento della luminosità periodica di Loki Patera ogni 400 / 600 giorni, che i ricercatori ipotizzano sia proprio a causa delle ondate di lava che rimescolano il materiale.
Utilizzando un occultazione di Io da parte di Europa, i ricercatori usando l'infrarosso, sono stati in grado di mappare la zona di Loki Patera, questi dati sono stati suddivisi in intervalli di un ottavo secondo mentre il bordo di Europa lentamente avanzava attraverso Io. I ricercatori hanno compilato una mappa termica bidimensionale che mostra la distribuzione della temperatura lungo la Patera, e ad una risoluzione migliore di 6,25 miglia (10 km).


L'analisi dei dati ha mostrato che la temperatura superficiale di Loki Patera è aumentata costantemente da un'estremità all'altra, suggerendo che la lava si era rovesciata in due onde che spazzavano da est a ovest con una velocità di 1 km al giorno. Le osservazioni hanno anche dimostrato che il ribaltamento è stato avviato in tempi diversi sui due lati dell'isola più fredda al centro della patera, suggerendo un processo geologico complesso sotto la superficie.

In grafico l'onda di lava nel bacino Loki Patera ).

La mappa dei vulcani:
Identificati 242 “hot spot“, di cui 23 non osservati precedentemente, sul satellite più interno di Giove. 
I dati indicano una maggiore concentrazione di punti vulcanici caldi nelle regioni polari rispetto alle latitudini intermedie. Si tratta della mappatura migliore mai ottenuta da remoto. 
I risultati dello studio, guidato da Francesca Zambon dell’Istituto nazionale di astrofisica, sono stati pubblicati su Geophysical Research Letters.


«La mappa degli hot spot presentata nel nostro lavoro», spiega Francesca Zambon, membro del gruppo Jiram, ricercatrice all’Inaf di Roma e prima autrice dell’articolo, «è la più aggiornata tra quelle basate su dati di telerilevamento spaziale. Analizzando le immagini infrarosse acquisite da Jiram, abbiamo individuato 242 punti vulcanici caldi, di cui 23 non presenti in altri cataloghi e localizzati nella maggior parte dei casi nelle regioni polari, grazie alla peculiare orbita della sonda Juno».

«Il confronto tra il nostro studio e il catalogo più recente», sottolinea la ricercatrice, «rivela che Jiram ha osservato l’82 per cento degli hot spot più potenti precedentemente individuati, e la metà degli hot spot di potenza intermedia, dimostrando quindi che questi sono ancora attivi. Tuttavia, Jiram ha rilevato solo circa la metà degli hot spot più deboli precedentemente segnalati. Le spiegazioni sono due: o la risoluzione di Jiram non è sufficiente per rilevare questi deboli punti caldi, oppure l’attività di questi centri effusivi potrebbe essersi sbiadita o interrotta».

Io mostra molti centri vulcanici, innescati principalmente dalle potenti forze mareali esercitate da Giove. Lo studio dell’attività vulcanica di questo satellite gioviano è la chiave per comprendere la natura dei suoi processi geologici e la sua evoluzione interna. La distribuzione degli hot spot e la loro variabilità spaziale e temporale sono importanti per definire le caratteristiche del riscaldamento delle maree e i meccanismi attraverso i quali il calore fuoriesce dall’interno.


«Uno dei maggiori punti aperti nella comprensione della struttura interna di Io», prosegue Alessandro Mura, leader del gruppo Jiram e ricercatore all’Inaf di Roma, «è se l’attività vulcanica osservabile in superficie sia dovuta a un oceano di magma globale presente nel mantello, oppure a camere magmatiche che si insinuano nella crosta a minori profondità. Le osservazioni di Jiram sono tuttora in corso, e le future immagini a maggiore definizione saranno fondamentali per meglio evidenziare i punti caldi deboli e per chiarire la struttura interna di Io».

«La superficie della luna gioviana Io è molto dinamica», aggiunge Giuseppe Sindoni, responsabile del progetto Jiram per l’Asi, «con vulcani ed emissioni laviche in continua evoluzione, come dimostrato da questo importante risultato ottenuto dal nostro strumento Jiram e dall’ottimo lavoro svolto dal team. L’estensione della missione Juno fino al 2025 ci permetterà di monitorare questa evoluzione e di comprendere meglio i processi fisici che guidano un corpo così complesso e dalle fattezze simili alla nostra Terra primordiale, anche in previsione di future missioni dedicate».
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A cura di Andreotti Roberto.